Weber e Winckelmann
La scoperta di un bellissimo
Mercurio nella Villa dei Papiri fu l'ultima a far felice Carlo III il quale,
alla morte del fratellastro nell'agosto del 1759, designò suo erede a Napoli il
terzogenito Ferdinando IV e, come stabilito dai trattati, assunse il trono di
Spagna. Il primo ministro Tanucci, che reggeva le sorti del regno in vece del
re minorenne, decise di continuare gli scavi prevalentemente a Pompei,
essendosi diradate le scoperte a Ercolano dopo il ritrovamento della Villa dei
Papiri. Karl Weber, divenuto direttore degli scavi, abbandonerà volentieri il
sito di Resìna per quello di Civita.
Nel 1756, era giunto a Napoli
Johann Joachim Winckelmann, un giovane bibliotecario arrivato l'anno prima a
Roma con una borsa di studio e che per tredici anni si muoverà tra Roma,
Firenze e Napoli, acquisendo grande esperienza nel campo delle antichità.
Stabilitosi vicino a Portici, legò amicizia con padre Piaggi che divenne la sua
fonte di notizie, non sempre imparziali, sugli scavi e sugli errori in cui
incappava la direzione dei lavori.
Winckelmann non aveva accesso ai
cantieri, ne' poteva riprodurre gli edifici e gli oggetti scavati, circostanze
che lo resero molto critico verso tutto quello che ruotava intorno a Pompei e
Ercolano. Mentre l'Accademia Ercolanese tardava a rendere noti i risultati
degli scavi, nel 1762 Winckelmann pubblicava la sua prima corrispondenza sulle
scoperte ercolanesi. Benché fosse un uomo dotato di buon senso (profeticamente
scrisse, a proposito della lentezza dei lavori, procedendo di questo passo, i
nostri pronipoti di quarto grado troveranno ancora da scavare), le sue
corrispondenze non furono prive di pregiudizi, ma ebbero il merito di
richiamare l'attenzione sugli scavi.
All'esperto osservatore non era
sfuggita la vicenda dei bronzi fusi nel 1738, ne' la truffa di un certo
Giuseppe Guerra, un pittore che produsse e rifilò nientemeno che al rettore del
Collegio Romano più di quaranta dipinti, spacciandoli per affreschi romani
provenienti da Ercolano. Il primo scritto in tedesco, tradotto in Francia,
allargò ulteriormente la polemica verso la corte napoletana, colpevole di
occultare un evento ritenuto patrimonio di tutti.
Con le sue velenose critiche,
Winckelmann ebbe il merito di accendere curiosità e dibattiti, dando alle
scoperte archeologiche la più ampia risonanza possibile, con un linguaggio che
oggi chiameremmo divulgativo, molto lontano dal tronfio stile lapidario degli
eruditi del tempo. I suoi scritti andarono a ruba e l'antica Roma divenne una
vera moda. Se ne parlava in ogni salotto e corte d'Europa, si riproducevano
gioielli e mobili, si copiavano abiti e pettinature ispirati all'epoca romana.
Winckelmann riuscì finalmente a
vedere gli scavi di Ercolano e ne ricavò una seconda epistola, pubblicata a
Zurigo nel 1764, dai toni polemici meno accentuati. Ma quando a Napoli giunse
l'eco dello scalpore suscitato dal primo scritto, ormai ampiamente diffuso, le
porte del museo reale e degli scavi per lui si richiusero inesorabilmente.
Nella disgrazia trascinerà con sè anche il suo informatore Piaggi.
Dopo la morte di Weber, la
direzione degli scavi passò nel 1764 all'ufficiale del genio spagnolo,
Francesco La Vega. Nello stesso anno arrivava a Napoli un'altra figura che
lascerà il segno nella storia degli scavi, il gentiluomo inglese sir William
Hamilton, nominato poi ministro plenipotenziario nel 1767. Fattosi amico il
giovane re, Hamilton riuscì a far tornare nuovamente a corte il Winckelmann.
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